sabato 15 novembre 2008

World government

Jacques Attali durante l'intervista con Myrta Merlino
Quanto durerà la crisi finanziaria? E poi che cosa ci attende? Jacques Attali, intellettuale ed economista francese, risponde avvertendo: serve una forte organizzazione mondiale, altrimenti rischiamo la guerra.


“Panorama» anticipa !'intervista con Jacques Attali di Myrta Merlino per “Econmnix”, programma di Rai Educational in onda dal 24 ottobre ogni venerdì su Raitre.


di MYRTA MERLINO


"Se non riusciremo a creare un governo mondiale diventeremo una Somalia planetaria". Poi: "le crisi finanziarie sono sempre state l'anticamera di una guerra. Oggi la sfida è quella di superare questa crisi sen­za passare per una guerra". E ancora: "Di fatto c'è già un governo mondiale che nes­suno vede: è quello composto da Stati Uni­ti e Cina. E l'Europa è completamente fuo­ri dai giochi". Infine: "Sono i contribuen­ti che pagano per gli sbagli dei banchieri. Anzi, prima i contribuenti, poi i consu­matori indebitati e infine i risparmiatori che saranno spogliati dall'inflazione. Ma io non penso che la reces­sione sia inevitabile". Jacques Attali, l'unico consigliere del principe a cui piace di più stare sulla scena che dietro le quinte, accetta di parlare, per la prima volta, a 360 gradi, dopo lo scoppio della crisi finanziaria. Il più eclettico, discusso e influente degli in­rellettuali-economisti francesi è come sempre caustico, ma vede una luce in fondo al tunnel. C'è, però, un pensiero che lo tor­menta: "Io l'avevo detto. Nel rapporto del­la commissione per la crescita francese, che presiedo, avevo previsto la crisi e avevo in­dicato l'antidoto, ma nessuno ha voluto ascoltarmi".

E che cosa proponeva?
Pochi si sono accorti che, nelle 316 pro­poste della commissione, c'erano tre pagine sulla crisi finanziaria, sulla specu­lazione, sui pericoli dell'innovazione finan­ziaria senza regole, sulla necessità di met­tere in atto riforme urgenti che oggi di­vengono meno importanti perché abbia­mo lasciato sviluppare la crisi. Ma che, qualche mese fa, sarebbero bastate a cal­marla. Semplicemente bisognava attuare queste riforme più rapidamente.



E come mai non le hanno dato retta?
Perché siamo stati vittime di un'ideo­logia totalitaria dell' ottimismo. È una co­sa estremamente pericolosa che abbiamo importato dall'America. È la «positive at­titude», che significa vedere soltanto il la­to positivo delle cose, tutto si risolve, ba­sta avere un pensiero positivo ... E tutti co­loro che avevano un atteggiamento criti­co venivano messi da parte. Conosco mol­ti economisti americani che sono stati li­cenziati semplicemente perché avevano previsto che ci sarebbero stati rischi. Il mondo ha scientificamente deciso che non bisognava ascoltare le cassandre e questo sta accadendo di nuovo con l'ambiente.



Vuole dire che la prossima crisi sarà quella climatica?
Esatto, e anche questa, come quella fi­nanziaria, è una crisi prevedi bile. Ma se non agiremo immediatamente ci trovere­mo fra 30 anni, se non prima, con un pro­blema climatico impossibile da risolvere così come ci appare oggi la questione dei mercati. Il rischio non sarà di una depres­sione, una recessione, ma della sparizione della specie umana. Cerchiamo di impa­rare dagli errori e di avere a proposito del clima più precauzione e più capacità di an­ticipare i problemi di quanto non abbia­mo avuto per il sistema finanziario.

Tornando alla crisi finanziaria, lei cosa ve­de al di là della tempesta perfetta dei mercati?
E molto difficile saperlo. E come una partita di calcio: non abbiamo giocato ne­anche il primo tempo e siamo tutti gioca­tori della partita, non osservatori. Quindi molti futuri sono ancora possibili. La ra­gione profonda della crisi è che l'economia è globale, mondiale, ma non esiste uno sta­to di diritto mondiale. Il che vuoi dire che il mercato si è sviluppato senza diritto, in maniera illegale, o meglio in maniera ale­gale. Cioè: quello che è stato fatto non era contrario alla legge, ma non era regolato.



Come uscirne?
Sento spesso paragonare la fase attuale al '29, sento dire che ci vorrebbe un nuo­vo Roosevelt, ma non bisogna dimentica­re che il primo keynesiano fu Benito Mus­solini, il secondo Adolf Hitler e Franklin Delano Roosevelt fu solo il terzo. Soprat­tutto bisogna ricordare che non furono le grandi opere di Roosevelt, bensì l'ingres­so degli Stati Uniti in guerra a portare il paese fuori dalla crisi. Quindi il nostro pro­blema non è quello di passare dal '29 al '33, ma quello di passare dal '33 al '45 sen­za vivere la guerra.



E lei cosa propone per evitare il rischio di una guerra planetaria?
Oggi serve una vera organizzazione pla­netaria. Il dopo capitalismo è quello che sta nascendo con l'economia delle organizzazioni non governative, l'economia del­l'altruismo in cui tutti riconoscono un in­teresse comune nel benessere degli altri. Non possiamo avere mercati mondiali sen­za un governo mondiale, altrimenti tutto assomiglierà all'unico paese che oggi pos­siede un mercato senza stato: la Somalia. Attenzione, se non riusciremo a creare un governo mondiale ci trasformeremo in una Somalia planetaria.



Quali sono le tre rego­le fondamentali sulle quali dovrebbe basarsi il nuovo ordine mon­diale?
Innanzitutto serve una nuova istituzio­ne come il Fondo monetario, il cui ruolo sarebbe quello di prestatore di ultima istanza del sistema finanziario. In secondo luogo, fissare regole che impediscano al si­stema finanziario di svilupparsi in campi come quello del mercato interno, dove i fattori di speculazione sono molto perico­losi. E in terzo luogo immaginare dei mec­canismi che impediscano alle banche dei paesi sviluppati di lavorare con le piazze finanziarie offshore. Oggi ci sono almeno 2 mila hedge fund, per il 70 per cento so­no al di fuori dei paesi sviluppati, in para­disi offshore, che controllano decine di mi­gliaia di miliardi di dollari. Se andiamo avanti di questo passo il mondo, all'im­provviso, tornerà al Paleolitico.

Tutti sono convinti che la grande reces­sione è alle porte. Lei la considera già in atto? Quanto durerà e quanto sarà dura?

Innanzitutto non penso che la recessio­ne sia un male inevitabile: abbiamo un po­tenziale di crescita mondiale straordina­rio. Tre anni fa la crescita mondiale era al 6 per cento, l'anno scorso al 5 e quest'an­no, nonostante tutto, è ancora al 3. L'iro­nia è che la migliore previsione per l'anno prossimo riguarda l' Africa, che dovrebbe avere una crescita del 6 per cento. È ironi­co: l'Africa non è colpita dalla crisi pro­prio perché non ha un sistema finanziario al di là del microcredito. Questo dimostra che la recessione non è una certezza, tutto è ancora possibile per evitarla.

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